sabato 28 agosto 2010

Viaggi aerei e cuore: partite informati e contenti !!!

Una delle regole auree che il mio lavoro mi ha insegnato è questa: quando si ha a che fare col pubblico, dare delle indicazioni utili e applicabili a tutti è difficile. Non solo: tanto più il pubblico è vasto (quindi non selezionato), tanto più tale compito si rivela irto di ostacoli.
Prendete l'esempio di uno spot pubblicitario: ogniqualvolta si dà per scontato che il pubblico abbia già delle informazioni di base, e pertanto non si spiega in dettaglio a cosa serva quel prodotto, si rischiano guai, più o meno grossi a seconda della vastità dell'audience. Ricordate il clamore suscitato (poco tempo fa) dalla pubblicità della lavanda vaginale Tantum Rosa? Forse per analogia col Tantum Verde, che è un colluttorio, parte del pubblico deve aver pensato che bastava ingurgitarla, e per magia il prodotto avrebbe agito a livello intimo. Risultato: diversi accessi in vari pronto soccorso, da Nord a Sud.

Dopo questa introduzione, veniamo all'argomento. Prendo spunto da un articolo apparso sul Corriere della Sera, nella sezione "Salute", che nel caso vi fosse sfuggito, potete leggere qui.
Questo articolo, a sua volta, si basa su una pubblicazione recentissima, uscita su Heart, prestigiosa rivista scientifica inglese, organo della British Cardiovascular Society: delle linee guida per chi ha una cardiopatia e deve affrontare un viaggio aereo.
Inizierei con una considerazione: mai fidarsi appieno della stampa generalista, specie quando i toni sono ottimistici, come nell'articolo in questione. Parlare di volo aereo in termini generici, è fuorviante. E' sottinteso che si parli di normali voli di linea, ma un conto è fare Milano-Roma, altra cosa è fare che so, Londra-Tokyo.
Quegli intervalli di tempo, citati nell'articolo, a mio parere non sono per nulla applicabili alla totalità dei pazienti cardiopatici; dovrebbe essere sempre e comunque il vostro cardiologo a darvi un parere definitivo sui potenziali rischi di un viaggio aereo, che nel vostro personale caso potrebbero differire da quelli di un altro paziente, pur con la vostra stessa malattia.
Molte volte mi è capitato di dover dare pareri e consigli in merito. A seconda della destinazione che mi viene riferita, spesso non ho potuto trattenermi dal dire: "spero che per dover fare questo tipo di viaggio lei abbia un motivo più che valido, come il matrimonio impellente di un figlio o una costosa vacanza già pagata che non prevede rimborso..."
Ciò perchè le potenziali complicazioni o problemi di una cardiopatia (qualsiasi essa sia) sono talmente tali e tante che, se dovessero verificarsi in terra straniera, sarebbero di gestione molto più difficile che in Patria. Ma questo il paziente non lo sa, poichè il suo medico tende sempre a rassicurarlo, quando non ha motivi concreti per spaventarlo. Però le leggi di Murphy esistono, e se ne deve tenere conto.
Prendiamo l'esempio dell'infarto. Mai e poi mai consiglierei ad un mio paziente infartuato di salire su un aereo (specie per un viaggio trans-continentale) dopo solo 3 giorni dalla dimissione. E' troppo presto. Da un lato è vero che è già stato dimesso, quindi l'equipe medica non ha riscontrato pericoli; dall'altro è pur vero che qualsiasi complicanza improvvisa (e ve ne sono, eccome se ve ne sono, chiedete a chi è del mestiere, non ai giornalisti) può presentare disagi aggiuntivi se non si è a casa!
Molti di voi sapranno che l'aria che si respira dentro un aereo non è quella in quota, grazie alla pressurizzazione dell'aereo stesso, diversamente i passeggeri morirebbero tutti. Pertanto tutti pensereste che la pressione atmosferica dentro un aereo sia quella dell'aeroporto di partenza, quando i portelloni erano ancora aperti.
Invece no! Quando l'aereo è in volo (quote di crociera tra 7-8000 metri e 10-15000 metri, fino a quote molto più alte, come nel compianto Concorde) è come se voi respiraste in alta quota, precisamente intorno ai 2500 metri.
L'effetto "alta quota" da un lato, la riduzione della pressione di ossigeno e l'immobilità possono favorire la trombosi venosa profonda (anche asintomatica, è stato dimostrato), e l'eparina a basso peso molecolare non è la panacea, come appare in quell'articolo.


Consentitemi infine alcune considerazioni personali. Spesso si pensa ai potenziali rischi (scarsi, in verità) di un viaggio aereo su un cuore malato, e si trascura l'assistenza sanitaria con la quale ci si potrebbe confrontare in un paese straniero. All'estero le cose possono essere molto diverse che in Italia, sia come qualità che come organizzazione dell'assistenza. Avete un'assicurazione sanitaria che copra ogni possibile spesa sanitaria per qualsiasi problema dovesse capitarvi all'estero?
E ancora. Nel caso di cure o pareri cardiologici all'estero, avete pensato a fornire le giuste informazioni ai medici che vi dovessero valutare? Scordatevi fogli e annotazioni scritte di vostro pugno, sono quasi sempre inutili. Se il vostro cardiologo è un buon cardiologo, sarà lui a scrivere in inglese una relazione dei vostri principali eventi cardiologici anamnestici (lui sa cosa è utile per i colleghi, voi no, rischiereste di riportare notizie inutili), non dimenticando di inserire una cosa che voi, nell'80% circa dei casi (vi assicuro che questa è la percentuale nel caso dei miei pazienti ambulatoriali), vi dimentichereste regolarmente o riportereste in maniera imprecisa o incompleta: la terapia.
Pochissimi pazienti si rendono conto di quanto sia importante, per qualsiasi medico, conoscere in maniera accurata la terapia di un paziente.
Direte: ma se vado all'estero mi porto la scorta. Giusto portarsela, ma la terapia va sempre scritta nella relazione, perchè i nomi farmacologici non cambiano, quelli commerciali si.
Per concludere: niente di nuovo. Linee guida e raccomandazioni in merito a cuori malati e viaggi aerei esistono già da anni; in particolare meritevole un lavoro del 2004 già apparso sulla prestigiosissima rivista americana Annals of Internal Medicine, alla quale vi rimando (chi conosce l'inglese può leggere il lavoro originale, chi non lo conosce e avesse dubbi, può scrivermi)

giovedì 5 agosto 2010

Alcool e Cuore, un pericoloso connubio

E' tempo di vacanze. Si parte per le località turistiche, si sta in compagnia, e con la convivialità di certi momenti si è indotti a bere più alcool del solito. Cosa succede al cuore? Quanto si può bere senza correre rischi?
Cerchiamo di fare chiarezza, cosa non semplice visto il posto che le bevande alcoliche occupano nella vita di tutti i giorni, fin dagli albori della storia.
Partiamo dalla definizione. Per un chimico, alcool vuol dire una certa cosa ben precisa; per noi è sufficiente sapere che quando si parla di alcool e dei suoi effetti ci si riferisce all'alcool etilico o etanolo. Chimicamente esistono molti alcool, ma quello etilico è l'unico commestibile.
E' una sostanza esistente in natura, quindi non artificiale, che si ottiene dalla fermentazione degli zuccheri (ogni zucchero naturale può dare alcool: dalla patata o dai cereali la vodka, dal riso il sake, dal ginepro il gin, dalle prugne la slivovitz, ovviamente dall'uva il vino, etc).

Il paradosso francese
Ormai diversi decenni addietro, analizzando le statistiche, ci si rese conto che, fra i paesi industrializzati, in Francia vi era un'incidenza di eventi cardiovascolari acuti (quindi infarto e angina) sensibilmente più bassa degli altri paesi. Le attenzioni si concentrarono sulle abitudini alimentari, fino ad individuare nel vino rosso locale (di cui i francesi vanno giustamente orgogliosi) il potenziale fattore protettivo.
Tale paradosso francese ha fondato il concetto di "effetto protettivo di basse dosi di alcool", sebbene non vi sia mai stata unanimità di vedute, in quanto parte dell'effetto sia dovuto a sostanze contenute nel vino rosso, e non in altre bevande alcoliche.

Effetti tossici dell'alcool
L'alcool, se assunto in quantità e per lunghi periodi, fa male. Gli effetti tossici di un'assunzione cronica di alcool, sull'apparato cardiovascolare, sono molteplici, tra i più importanti:

  • ipertensione arteriosa

  • dislipidemia (cioè alterazioni dei grassi nel sangue)

  • danno diretto sui tessuti cardiaci fino alla tipica cardiomiopatia alcoolica
E' bene sapere che assunzioni, anche moderate, di alcool possono ridurre in maniera significativa la capacità di contrazione del cuore, sulla base di un effetto tossico ai danni dei meccanismi che ne regolano la contrattilità. Non solo, è dimostrato che vi sarebbero effetti anche sui tessuti strutturali cardiaci (interstizio stromale), causando fibrosi miocardica.
Tuttavia i danni maggiori si hanno quando l'assunzione è cronica; in particolare, la tipica cardiomiopatia alcolica si verifica quando il consumo giornaliero supera gli 80 mg al dì per 5 anni, con una suscettibilità maggiore per le donne e per chi presenta certe mutazioni genetiche di geni per alcuni enzimi del metabolismo.
Sulla pressione arteriosa ha un comportamento duplice: l'assunzione acuta riduce la pressione, per effetto vasodilatatore (mediato da azioni sul centro vasodilatatorio nonchè dall'effetto dell'acetaldeide); in cronico invece fa aumentare la pressione, probabilmente attraverso l'incremento di catecolamine plasmatiche e del sistema renina-angiotensina.
L'assunzione cronica di alcool causa inoltre aumento del colesterolo cattivo, quello LDL.
Esistono inoltre rischi di innesco di aritmie, pertanto chi soffre di fibrillazione atriale parossistica dovrebbe fare particolare attenzione, fino all'assoluta astensione; è infatti noto che tra gli alcolisti la fibrillazione atriale sia un'aritmia molto diffusa.
Questa breve trattazione è centrata sugli effetti cardiovascolari dell'alcool, non sono stati pertanto trattati gli altri innumerevoli effetti, come per esempio gli effetti sull'attenzione e la guida di autoveicoli: consultate pure il nuovo codice della strada per ulteriori dettagli.


Appendice 
Come si fa ad avere un'idea della quantità di alcool presente in una bevanda? Semplice. Supponiamo di avere un litro di vino a 12° di gradazione: il contenuto di alcool, in grammi, di quella bottiglia sarà: 12 x 0.79 x 1000 cc = 9480 cioè 94.8 grammi di alcool (a patto di berla tutta, ovviamente). Altro esempio: una lattina (di solito contiene 330 cc) di birra di 5° conterrà: 5 x 0.79 x 330 = 1303 quindi 13 grammi di alcool, nel caso la bevessimo tutta.