martedì 15 febbraio 2011

il Bypass Aortocoronarico

Anzitutto la definizione: by-pass vuol dire passare oltre, e in genere, per oltrepassare qualcosa, bisogna gettare un ponte.
E' ciò che ci si chiese tanti anni addietro quando, osservando vasi arteriosi diffusamente malati, si concepì la possibilità di oltrepassare il punto del massimo restringimento con un pezzo di un altro vaso, attaccato a monte e a valle della stenosi (cioè del restringimento).
La malattia aterosclerotica colpisce molti distretti, si sa, con le coronarie in primo piano. Genetica, fumo, diabete e colesterolo alterano profondamente la struttura di una coronaria, talvolta in maniera diffusa a tutto il vaso; talatra, e sono i casi più fortunati, solo in certi punti, restringendone il lume in maniera significativa.
In questi casi si ha l'angina pectoris nei casi più lievi, fino all'infarto miocardico o la morte improvvisa in quelli più gravi.
Nei casi più semplici, per riportare il lume coronarico al diametro iniziale è possibile dilatare la coronaria stessa con una procedura chiamata "angioplastica", che qui non tratteremo.
Nei casi più complessi invece, le lesioni sono tali da non poter essere dilatate con l'angioplastica. 
Pertanto, dopo consulto cardiologico, sarà il vostro cardiologo di fiducia a proporvi all'equipe cardiochirurgica per l'intervento di bypass aortocoronarico, cosa non certo semplice o alla portata di qualsiasi chirurgo.
Un cardiochirurgo, operando sul cuore, sa che deve essere estremamente accurato (lavora su vasi del diametro di pochi millimetri) e anche molto rapido (dopo il clampaggio aortico e l'inizio della circolazione extracorporea, viene fermato il cuore con la soluzione cardioplegica, e meno tempo si impiega a lavorare sul cuore fermo, meglio è). A questo punto si crea un vero e proprio ponte che oltrepassi la stenosi coronarica; a dire il vero un bypass, cioè il  ponte, può essere confezionato dal chirurgo in vari distretti, tanto coronarici quanto periferici (cioè circolazione degli arti inferiori), però qui tratteremo solo quelli aorto coronarici, cioè quelli che interessano le coronarie.
Come bypass è possibile impiegare tanto altre arterie (che la natura aveva destinato per altri scopi), come per esempio l'arteria toracica o mammaria (sono sinonimi, in inglese si abbrevia in LIMA o RIMA, a seconda se si tratti della mammaria sinistra o destra), oppure tratti di vena safena che vengono isolati dalle gambe, e quindi reimpiantati in direzione contraria sulle coronarie a valle, e direttamente abboccati alla parete aortica a monte.
Ciò premesso, è evidente che le coronarie native devono mantenere un minimo di integrità per far si che un cardiochirurgo possa metterci le mani, in quanto i miracoli non li fa nessuno; per esempio, è evidente che se le coronarie native sono molto piccole di natura (come spesso si vede nei diabetici), sarà estremamente difficile per un cardiochirurgo poter confezionare i bypass (diciamo che il diametro minimo si aggira almeno a 1.2 mm di diametro, e con tali vasi un chirurgo dovrà sudare parecchio...)
Un bypass non è eterno. L'errore che i pazienti commettono spesso è: "mi hanno rimesso il cuore a nuovo, pertanto posso tornare a fare quello che facevo prima, cioè fumare e mangiare quanto e come mi pare...."
I ponti arteriosi durano di più, talora anche decine di anni, come nel caso della mammaria in situ, cioè lasciata al suo posto naturale e collegata solo distalmente alla coronaria (che in genere è sempre l'IVA, cioè la discendente anteriore - vedi il mio libro per la spiegazione anatomica); meno felice è la durata della stessa mammaria quando usata come free graft, cioè staccata prossimalmente e distalmente e attaccata all'aorta da una parte e alla coronaria dall'altra.
La vena grande safena dal canto suo, impiegata ormai da decenni, presenta una buona resistenza alla lunga, per quanto la durata di un bypass venoso sia sempre meno lunga rispetto a uno arterioso; tra l'altro è importante isolare la safena al meglio, evitando traumatismi del vaso stesso che potrebbero compromettere la durata nel tempo del bypass.
In passato sono state impiegate anche altre tipologie di arterie, dalla radiale alla gastroepiploica, passando per arterie eterologhe, cioè di altre specie diverse dall'uomo (bovini), con risultati inferiori in termini di durata nel tempo.
Una volta conclusa la convalescenza, salvo complicazioni di competenza strettamente chirurgica, verrete riaffidati alle cure del vostro cardiologo, che imposterà la terapia e vi seguirà negli anni a venire, decidendo volta per volta quali esami consigliarvi per il controllo periodico della pervietà dei bypass stessi, dal più semplice (test da sforzo) a esami più accurati e sofisticati quali la cardioTAC coronarica, di cui abbiamo già parlato.