Il
tumore mammario è la patologia tumorale più frequente nelle donne. Ad oggi,
grazie ai complessi protocolli di terapia, la sopravvivenza è migliorata
rispetto a decenni addietro, per quanto rimanga ancora la seconda causa di morte
nella popolazione femminile.
È il
proprio oncologo che decide la terapia, scegliendo tre opzioni (variamente
combinate): opzione chirurgica (intervento più o meno demolitivo), opzione chemioterapica
(diversi chemioterapici in combinazione e con una tempistica di
somministrazione ben precisa), opzione radioterapica (radiazioni concentrate
sulla zona del tumore al fine di neutralizzare le cellule tumorali).
Da
un punto di vista cardiologico abbiamo già affrontato l’argomento dei danni
cardiaci che alcuni farmaci chemioterapici possono provocare, pertanto la
domanda è: esiste un danno cardiaco da radiazioni irradiate sulla mammella (e
quindi area cardiaca)? Ovviamente si (altrimenti non avrei scritto ciò che
state leggendo), al punto che l’aumentata sopravvivenza dal tumore ha
consentito l’emergere (negli anni successivi) di una cardiopatia da radiazioni
(attinica), discretamente frequente.
Un primo
punto fermo nelle evidenze cliniche, che ufficializzò ciò che diversi
specialisti avevano osservato, fu pubblicato nel 2000: la famosa metanalisi su
Lancet, dati alla mano, dimostrò che a 20 anni di distanza dal tumore, in termini
di mortalità non vi erano importanti differenze tra chi era stato sottoposto o
meno a radioterapia. Che vuol dire? Che chi fa la radioterapia dopo 20 anni non
sarebbe morta di tumore bensì di complicanze cardiovascolari, mentre chi non l’avesse
fatta dopo 20 anni molto probabilmente sarebbe morta per la ripresa del tumore.
Quindi, a lunga distanza, nessun concreto vantaggio.
Dati
più recenti (sempre pubblicati sul prestigioso Lancet nel 2011) hanno in parte
ridimensionato il problema, la mortalità a 15 anni è comunque migliorata, per
quanto si conferma che chi è stato irradiato possa avere una morbilità (quindi
complicanze e ospedalizzazioni) maggiore.
Pertanto,
come possono le radiazioni danneggiare il cuore? La radioattività è un fenomeno
naturale, per comprendere meglio il quale chiederete ai fisici. Per quello che
è lo scopo di questo articolo, diciamo che viene sfruttata l’emissione di
particelle radioattive, il cui fascio viene quanto possibile concentrato e
mirato all’area che si vuole irradiare, col fine di neutralizzare eventuali
cellule tumorali rimaste dopo un intervento di asportazione del tumore. Per quanto
si riesca a gestire con precisione millimetrica la profondità di penetrazione
del fascio di radiazioni, se non sufficientemente profondo si rischia l’inefficacia,
mentre se deve essere efficace è inevitabile coinvolgere altre strutture,
guarda caso il cuore, specie quando il tumore è nella mammella sinistra.
Il
danno da radiazioni è ampiamente noto e studiato, vi sono stati autori che, fin
dagli anni ’70, hanno documentato che qualsiasi struttura cardiaca può subire
danno da radiazioni, pericardio, coronarie, valvole, miocardio. Quindi, al fine
di diagnosticare per tempo qualsiasi potenziale complicanza cardiologica nel
corso di una radioterapia, il follow up dovrebbe scaturire dalla collaborazione
oncologo/cardiologo, cosa talora non immediata (specialisti in strutture
diverse, tempi di attesa lunghi), mediante i consueti esami che il cardiologo
riterrà indicati, quali ecocardiogramma, test da sforzo e se necessario (pensare
all’ulteriore carico di radiazioni da esami radiologici) cardio TAC coronarica
(se ne è già parlato).
Una
cosa è certa: qualsiasi potenziale cardiopatia da radiazioni sarà più grave in
presenza di condizioni predisponenti, quali fumo, colesterolo elevato,
pressione non controllata, diabete e familiarità.