domenica 27 gennaio 2013

ABC della coronarografia

Supponiamo che, dopo un iter più o meno complesso, il vostro cardiologo abbia posto indicazione ad una coronarografia. Di che si tratta? Vediamo i dettagli.
La coronarografia è l’esame che consente di visualizzare direttamente le coronarie, cioè le arterie che circondano il cuore (come una corona, da cui il nome). Poiché qualsiasi arteria contiene sangue, non è visibile ai raggi X; per visualizzarla occorre iniettare un liquido di contrasto, direttamente dentro la coronaria stessa, e quindi procedere ai raggi X. Tale operazione richiede un ricovero, per quanto breve, in quanto per iniettare il contrasto dentro la coronaria interessata bisogna farsi strada con un sottile catetere, a partire da una arteria periferica, che generalmente può essere quella dell’inguine (la femorale) o del braccio (brachiale o radiale).
Si punge (in anestesia locale) supponiamo la femorale, si inserisce a ritroso il catetere (ne esistono di diversi tipi, prendono il nome di chi li ha sperimentati per primo, Amplatz, Judkins, etc) fino al cuore risalendo tutta l’aorta, si localizzano gli imbocchi delle coronarie nel punto in cui l’aorta origina dal ventricolo sinistro, quindi si inietta il contrasto direttamente dentro la coronaria, tanto quella destra quanto quella sinistra che, come saprete di certo, nasce con un breve tronco comune per poi biforcarsi in due rami, discendente anteriore e circonflessa. La coronarografia è l’esame più accurato per la visualizzazione delle coronarie e delle loro stenosi, cioè restringimenti dovuti a placche di misura e composizione variabili, che limitando il diametro delle coronarie possono creare angina pectoris o, nei casi di trombosi acuta che si può sovrapporre su tali placche, infarto acuto. Dura non più di qualche minuto e non è dolorosa (anche se di certo fastidiosa, specie quando viene iniettato il contrasto), ma richiede comunque il ricovero perché la puntura di un’arteria è sempre una procedura per la quale è raccomandabile un controllo del pz nelle ore successive alla rimozione della cannula entro cui è stato fatto avanzare il catetere.
È evidente che se le coronarie sono “pulite” l’esame è già concluso in pochi minuiti; si rimuove tutto, si tampona ancora per qualche minuto con una compressione il punto in cui è stato introdotto il catetere femorale, il giorno dopo il pz va a casa. Invece, nel caso di lesioni coronariche di una certa gravità e di un certo tipo, si valuta come procedere: o direttamente alla dilatazione di tali restringimenti, procedura chiamata angioplastica (coronarica, in questo caso), che ovviamente è ben più complessa della semplice coronarografia (in quanto prevede, quasi sempre, l’impianto di uno stent, con una durata variabile da una ventina di minuti a circa un ora, oppure ad un intervento di cardiochirurgia chiamato bypass aortocoronarico, molto lungo e complesso che non è più di competenza dei cardiologi, bensì dei cardiochirurghi (con trasferimento del pz nell’unità di cardiochirurgia), e che qui non tratteremo in quanto già affrontato su queste pagine.
La valutazione del danno comincia anzitutto da un dato semplice: quante coronarie coinvolte? È questo un dato storicamente utile al cardiologo, al fine di prevedere i guai a cui quel cuore andrà incontro negli anni, come stabilito da un celebre studio di decenni addietro, il CASS (acronimo di Coronary Artery Surgery Study), grazie al quale sappiamo che se le coronarie colpite sono tutte e tre, la sopravvivenza a 12 aa non supera il 40%.
È poi evidente che anche la tipologia e localizzazione delle lesioni conta, al fine di procedere all’angioplastica o al bypass: una lesione prossimale è più grave di una distale, e quelle della coronaria discendente anteriore, specie se prossimali, sono le più gravi di tutte, senza contare le difficoltà tecniche legate ad angioplasticare e posizionare uno stent in un punto curvo o biforcato, difficoltà superabile con la tecnica del kissing balloon, che prevede il posizionamento di due stent nel ramo principale e secondario. Ci sono quindi molteplici dettagli prettamente tecnici che esulano dagli scopi di questo scritto, che un bravo cardiologo emodinamista tiene in conto nella scelta del tipo di procedura da svolgere e di stent da impiantare.
In conclusione, posto che una coronarografia la si fa quando ci si aspettano potenziali miglioramenti prognostici, quali sono i casi in cui è particolarmente indicata?
1.       Severa disfunzione ventricolare sn a riposo o da sforzo, con FE<35%, eco stress positivo
2.       Scintigrafia positiva per esteso difetto di perfusione
3.       Imaging coronarico (cardioTC) positivo per lesioni prossimali
4.       Test da sforzo positivo in pz asintomatico, ad alto rischio