sabato 20 dicembre 2014

La Sincope

Si definisce sincope una improvvisa perdita di coscienza con conseguente caduta a terra, con un recupero completo entro un tempo solitamente breve. È un evento abbastanza frequente in soggetti ultrasettantacinquenni, rappresentando il 3% dei ricoveri ospedalieri e fino al 6% delle visite in medicina d’urgenza.
È causata da una improvvisa riduzione dell’afflusso di sangue cerebrale (ipoafflusso), evento che può avere diverse cause, sia cardiache, neurologiche, talora anche iatrogene (cioè causate da farmaci che possono causare bradicardia o ipotensione, o malfunzionamenti di pacemaker).
Le cause cardiache possono essere quanto mai disparate, per esempio:
1.       stenosi valvolari
2.       cardiomiopatia ipertrofica
3.       embolia polmonare
4.       bradicardie e blocchi atrioventricolari avanzati
5.       tachicardie (per esempio ventricolari)
6.       sindromi quali QT lungo e Brugada
La sincope neuromediata sottende invece una causa non cardiaca che bisogna comunque identificare, in quanto sono possibili le recidive.
Nell’esaminare un paziente che ha avuto una sincope bisognerebbe rilevare anche la pressione in ortostatismo (cioè in piedi) e, talora, si dovrebbe procedere anche al massaggio del seno carotideo (che è un piccolo sensore posto alla biforcazione delle carotidi, le arterie del collo, massaggiando il quale si può evocare una marcata bradicardia con pause più o meno lunghe).
Ovviamente le cause di caduta a terra da transitoria perdita di coscienza potrebbero non far parte di una sincope propriamente detta, per esempio ipoglicemie, crisi epilettiche, drop attacks dei pazienti molto anziani, malattia cronica cerebrovascolare.
Gli esami strumentali di approfondimento dovrebbero essere: ematochimici completi (anche funzione tiroidea), ecg e Holter, da valutare (ne abbiamo parlato anni addietro) un eventuale impianto di un loop recorder. Molto utile è inoltre l’ecocardiografia, per escludere valvulopatie, cardiomiopatia ipertrofica. Nel sospetto di embolia polmonare fondamentale rimane la TAC del torace.
L’infarto miocardico non complicato raramente si presenta con una sincope, che invece è la presentazione di una tachicardia ventricolare (che può benissimo verificarsi all’esordio di un infarto miocardico, complicato appunto da tale aritmia), che può portare (se prolungata) ad arresto cardiaco e morte improvvisa.
Il meccanismo invece più frequente nei giovani è la sincope neuro mediata (vasovagale), provocata da bradicardia e/o ipotensione, scatenati da dolore, paura, emozioni, ambienti caldo umidi e in ortostatismo prolungato, tipicamente preceduta da nausea e sudorazione. In tali casi si procede comunque ad esami di approfondimento analoghi a quelli già elencati, ma di solito non si trovano reperti francamente patologici. Può essere utile il tilt test, un esame che non tutti i centri eseguono, che serve a studiare i riflessi che regolano pressione e frequenza cardiaca mediante posizionamento del paziente su un lettino, che poi viene inclinato (testa su e piedi giù) per un certo tempo (circa una mezz’ora, a seconda dei protocolli), con controllo continuo di pressione ed ECG, al fine di riprodurre un calo pressorio o una bradicardia marcata (o entrambi).

Nel caso dell’induzione di una marcata bradicardia si può valutare l’impianto di un pacemaker, mentre la terapia farmacologica non è del tutto risolutiva quando si deve curare la risposta vaso depressiva (cioè la pressione che è andata a terra), un certo beneficio si ha con midodrina, fludrocortisone (a seconda dei casi), talvolta paroxetina; al fine di verificare l’efficacia dell’approccio terapeutico che si è scelto, il tilt test potrebbe essere ripetuto dopo qualche mese di trattamento

lunedì 2 giugno 2014

Tumore mammario e danni al cuore da radioterapia

Il tumore mammario è la patologia tumorale più frequente nelle donne. Ad oggi, grazie ai complessi protocolli di terapia, la sopravvivenza è migliorata rispetto a decenni addietro, per quanto rimanga ancora la seconda causa di morte nella popolazione femminile.
È il proprio oncologo che decide la terapia, scegliendo tre opzioni (variamente combinate): opzione chirurgica (intervento più o meno demolitivo), opzione chemioterapica (diversi chemioterapici in combinazione e con una tempistica di somministrazione ben precisa), opzione radioterapica (radiazioni concentrate sulla zona del tumore al fine di neutralizzare le cellule tumorali).
Da un punto di vista cardiologico abbiamo già affrontato l’argomento dei danni cardiaci che alcuni farmaci chemioterapici possono provocare, pertanto la domanda è: esiste un danno cardiaco da radiazioni irradiate sulla mammella (e quindi area cardiaca)? Ovviamente si (altrimenti non avrei scritto ciò che state leggendo), al punto che l’aumentata sopravvivenza dal tumore ha consentito l’emergere (negli anni successivi) di una cardiopatia da radiazioni (attinica), discretamente frequente.
Un primo punto fermo nelle evidenze cliniche, che ufficializzò ciò che diversi specialisti avevano osservato, fu pubblicato nel 2000: la famosa metanalisi su Lancet, dati alla mano, dimostrò che a 20 anni di distanza dal tumore, in termini di mortalità non vi erano importanti differenze tra chi era stato sottoposto o meno a radioterapia. Che vuol dire? Che chi fa la radioterapia dopo 20 anni non sarebbe morta di tumore bensì di complicanze cardiovascolari, mentre chi non l’avesse fatta dopo 20 anni molto probabilmente sarebbe morta per la ripresa del tumore. Quindi, a lunga distanza, nessun concreto vantaggio. 
Dati più recenti (sempre pubblicati sul prestigioso Lancet nel 2011) hanno in parte ridimensionato il problema, la mortalità a 15 anni è comunque migliorata, per quanto si conferma che chi è stato irradiato possa avere una morbilità (quindi complicanze e ospedalizzazioni) maggiore.
Pertanto, come possono le radiazioni danneggiare il cuore? La radioattività è un fenomeno naturale, per comprendere meglio il quale chiederete ai fisici. Per quello che è lo scopo di questo articolo, diciamo che viene sfruttata l’emissione di particelle radioattive, il cui fascio viene quanto possibile concentrato e mirato all’area che si vuole irradiare, col fine di neutralizzare eventuali cellule tumorali rimaste dopo un intervento di asportazione del tumore. Per quanto si riesca a gestire con precisione millimetrica la profondità di penetrazione del fascio di radiazioni, se non sufficientemente profondo si rischia l’inefficacia, mentre se deve essere efficace è inevitabile coinvolgere altre strutture, guarda caso il cuore, specie quando il tumore è nella mammella sinistra.
Il danno da radiazioni è ampiamente noto e studiato, vi sono stati autori che, fin dagli anni ’70, hanno documentato che qualsiasi struttura cardiaca può subire danno da radiazioni, pericardio, coronarie, valvole, miocardio. Quindi, al fine di diagnosticare per tempo qualsiasi potenziale complicanza cardiologica nel corso di una radioterapia, il follow up dovrebbe scaturire dalla collaborazione oncologo/cardiologo, cosa talora non immediata (specialisti in strutture diverse, tempi di attesa lunghi), mediante i consueti esami che il cardiologo riterrà indicati, quali ecocardiogramma, test da sforzo e se necessario (pensare all’ulteriore carico di radiazioni da esami radiologici) cardio TAC coronarica (se ne è già parlato).

Una cosa è certa: qualsiasi potenziale cardiopatia da radiazioni sarà più grave in presenza di condizioni predisponenti, quali fumo, colesterolo elevato, pressione non controllata, diabete e familiarità. 

domenica 2 febbraio 2014

Risonanza Magnetica Cardiaca: un esame, molte informazioni

È noto a tutti che la Risonanza Magnetica (NMR), negli ultimi decenni,  è diventata la metodica principale per lo studio del Sistema Nervoso Centrale, con immagini di una chiarezza e dettaglio mai raggiunti con altre metodiche. Ciò che invece non a tutti è noto, è che anche il cuore può essere studiato con la Risonanza Magnetica, con risultati talvolta determinanti per una diagnosi.
La metodica, lo sappiamo, non impiega radiazioni (a differenza della TAC), basandosi invece su un forte campo magnetico (innocuo per il paziente), grazie al quale (i dettagli li trovate altrove) vengono ricostruite le immagini; l’esecuzione di una NMR cardiaca dura circa 45 min, e di fatto è l’esame che fornisce il numero maggiore di informazioni se paragonata ad altre metodiche; vi sono però alcune limitazioni: scarsa disponibilità di macchine dedicate alla parte cardiaca (software apposito) e quindi di cardio-radiologi in grado di interpretare i risultati che l’esame fornisce; lunghi tempi di esecuzione (diciamo almeno 15 min) durante i quali il paziente deve stare immobile all’interno di una specie di tunnel con tale campo magnetico; impossibilità di sottoporsi a tale esame se si è portatori di una qualsiasi protesi metallica (compresi pacemaker, anche se sono ormai una realtà diversi modelli di pacemaker NMR-compatibili). 
La quantità di informazioni che tale esame può fornire, se eseguito in centri dedicati e refertato da cardio-radiologi esperti, è tra le più elevate e complete in ambito cardiologico, al punto da sostituirsi ai diversi accertamenti che si sarebbero resi necessari caso per caso; a seguire, alcuni principali scenari.
1.       Ischemia inducibile. Chi legge abitualmente questo blog probabilmente sa di cosa parliamo: si tratta di documentare se la quantità di ossigeno e nutrienti che arriva al cuore attraverso le coronarie, sufficiente a riposo, può non esserlo sotto sforzo, quando il cuore si tachicardizza, configurando appunto un quadro di ischemia (riduzione nutrienti) inducibile (dallo sforzo). Una NMR cardio può elegantemente documentare ciò, il difetto di perfusione può essere chiaramente dimostrato
2.       Miocardio vitale. Che cos’è? È una parte di ventricolo che a riposo si muove poco o è ferma del tutto. Ogni cardiologo pertanto si chiede: è ferma perché è morta (infarto verificatosi in precedenza) o è ferma perché è in condizioni di ischemia cronica, e quindi potrebbe riprendere a contrarsi se tolgo l’ischemia? Discriminare una tale condizione non è affatto semplice, ma una NMR può fugare il dubbio, analizzando il comportamento di quella parte di ventricolo alla somministrazione di un tracciante particolare, chiamato gadolinio
3.       Miocardite acuta. È una infiammazione della parte muscolare del cuore, spesso causata da virus, che la NMR evidenzia con facilità (le altre metodiche molto meno), col caratteristico edema miocardico associato a fibrosi subepicardica
4.       Alterazioni della microcircolazione coronarica. Sono alterazioni molto insidiose in quanto difficili da documentare con altre metodiche, che la NMR può svelare, a proposito della “sindrome X”, cioè sintomi e alterazioni ischemiche, in assenza di stenosi coronariche alla coronarografia
5.       Cardiopatia Takotsubo o cardiopatia da stress, ne abbiamo già parlato su queste pagine. La NMR aiuta molto nella diagnosi, si evidenzia la tipica area apicale del ventricolo sn di acinesia (cioè è fermo), con edema e senza fibrosi

Ma c’è di più. La NMR cardio si è rivelata di fondamentale importanza anche in alcune valvulopatie cardiache, non ultimo il prolasso valvolare mitralico (ne abbiamo già parlato) che può essere studiato con tale metodica, al fine di scoprire fibrosi dei muscoli papillari (che sono alla base d’impianto della valvola stessa) o di eventuali aree di miocardio circostanti, nonché una completa valutazione della valvulopatia di per sé, dato essenziale per un approccio cardochirurgico.