domenica 27 settembre 2009

Il Pacemaker

Chi segue queste pagine avrà già letto che il cuore, per potersi contrarre incessantemente nell'arco di una vita, possiede un impianto elettrico interno autonomo. E' un impianto elettrico capace tanto di crearsi la corrente, nonchè distribuirla uniformemente a tutto il cuore, in modo che il cuore stesso possa fare il proprio lavoro di contrazione e rilasciamento (sistole, diastole). Senza corrente un muscolo non si muove; anzi, non muovendosi si atrofizza: avete presente come sono ridotti gli arti inferiori di chi non li può usare perchè paralizzato (si dice "para-paresi o tetra-paresi")? L'impianto elettrico del cuore può, per fatti degenerativi o ischemici o altre cause, presentare malfunzionamenti o, in certi casi, dei veri e propri blocchi al passaggio della corrente: lo dovremmo già sapere, basta rileggersi quanto scritto a proposito dei blocchi di branca (che comunque rappresentano solo alcuni tra i blocchi di conduzione, peraltro nemmeno tanto gravi, in genere). Quando uno di questi blocchi di conduzione elettrica dovesse essere tale da impedire una regolare contrazione del cuore (ad esempio quando è responsabile delle pause, veri e propri arresti del cuore), allora bisognerà impiantare uno stimolatore, detto anche pacemaker, cioè segna passo, crea passo (impariamo l'inglese che ce n'è sempre bisogno: non confondiamo pace-maker con "peace-maker" che è ben altra cosa). A proposito di pause, ne basta una di 3 secondi per avere, in certi soggetti, una sincope da insufficiente irrorazione cerebrale, quindi pensate a quanto estremamente delicato è il cervello !!! Posta l'indicazione all'impianto, bisogna procedere. IMPIANTO DI UN PACEMAKER In sala operatoria, dopo anestesia locale della regione sub-clavicolare (già che ci siamo, anche il latino non guasta: sub sta per sotto, e clavicola è l'osso tra il collo e la spalla, detto cosi da "clavicula" cioè piccolo chiavistello, chissà perché....) si procede con la puntura della succlavia. Cos'è la succlavia? Il nome deriva da sub-clavia cioè sotto clavicola. E' una grossa vena, ma molto grossa, una specie di autostrada, che ovviamente non si vede come quelle piccole e superficiali del braccio, ma raccoglie un fiume di sangue dal braccio e lo riporta al cuore, in atrio destro per la precisione. Sta sotto l'osso, la clavicola per l'appunto, e non è sempre facile beccarla a primo colpo, ma in genere ci si riesce senza creare guai (e di guai se ne potrebbero creare, eccome! Se anzichè pungere la vena si dovesse accidentalmente pungere l'arteria o l'apice polmonare... beh, nulla di irreparabile, ma bisogna gestire tali complicanze e la degenza potrebbe allungarsi non poco...) Una volta punta questa grossa vena, si introduce attraverso essa (mediante una tecnica particolare che non spiegherò in dettaglio) l'elettrocatetere. E già! Come fa il pacemaker a dare il regolare impulso elettrico al cuore? Non certo per magia, bensì mediante un filo, un elettrocatetere appunto, sottile come uno spaghetto e morbidissimo, quasi come fosse gelatina, ma con all'interno un prezioso filo metallico. Introdotto dalla succlavia l'elettrocatetere viene posizionato abilmente (e sottolineo "abilmente", perchè talora non è semplice) in apice ventricolare destro. Qui, grazie a dei minuscoli ganci sulla punta, tale elettrocatetere si attacca alla superficie interna del ventricolo destro, non distaccandosene più (in genere è così, però a volte può sganciarsi). Una volta posizionato correttamente l'elettrocatetere, si procede alla creazione di una piccola tasca, non più di un centimetro al di sotto della cute e sempre sotto-clavicolare, destinata a contenere il pacemaker (che oggi è veramente minuscolo). Quindi si avvita al pacemaker l'altra estremità dell'elettrocatetere. Si inserisce il dispositivo nella tasca appena creata, si sutura il sottocute e la cute, e il gioco è fatto.
E' questo il caso di un pacemaker monocamerale, cioè fatto per una sola camera cardiaca (il ventricolo). Può anche essere bicamerale (atrio e ventricolo), avendo pertanto due elettrocateteri e algoritmi di funzionamento un po' più complessi.
COME FUNZIONA?
Un pacemaker è una specie di gioiellino tecnologico, dalla componentistica elettronica di solito estremamente affidabile, con una batteria di lunga durata (dai 6-7 ai 10 anni, circa), collegato (ormai lo sappiamo) ad un elettrocatetere.
Il pacemaker fa sostanzialmente due cose: sente quello che fa il cuore in ogni istante, e decide cosa fare di conseguenza.
Supponiamo che il cuore stia funzionando regolarmente da solo, battendo in tutta autonomia. Il pacemaker, attraverso l'elettrocatetere, riceve il segnale dell'attività elettrica cardiaca spontanea, battito dopo battito, giorno e notte (si parla di millesimi di volt), quindi sta zitto, in gergo si dice "inibito", non emette quindi alcuno stimolo.
Al contrario, nel momento in cui il cuore dovesse fermarsi, anche solo mancando un battito, tale assenza di attività elettrica viene percepita (si dice sentita, "sensed" in inglese) dal dispositivo, il quale emetterà prontamente un impulso elettrico la cui corrente, fuoriuscita dalla punta dell'elettrocatetere, è sufficiente a stimolare il cuore. Se il cuore non volesse proprio saperne allora il pacemaker lo stimolerà giorno e notte, secondo parametri e modalità che il cardiologo avrà programmato.
E' bene chiarire un punto chiave: il pacemaker, per quanto estremamente sofisticato, è solo un emettitore di un impulso elettrico, nient'altro.
Se il cuore è sano, tutto OK, ma se il cuore è malato di per sè, con una capacità di contrarsi molto scarsa (cosa che si ripercuote su tutto l'organismo, cioè quella condizione chiamata scompenso cardiaco) il pacemaker non potrà fare proprio nulla per alleviare le sofferenze del paziente (quindi è bene non attendersi dall'impianto di un pacemaker risultati che la macchina non potrà mai dare).
In nessun modo il pz si accorge del battito stimolato artificialmente, nè sono richieste particolari modifiche delle proprie abitudini di vita, si può continuare a fare quasi tutto quello che si faceva prima.
Esistono alcune precauzioni, ampiamente spiegate ai pazienti prima di procedere all'impianto.
Nella stragrande maggioranza dei casi l'elettronica, come detto, è affidabilissima, e i controlli annuali (che durano pochi minuti) filano via lisci.
Nel caso invece qualcosa non dovesse andare per il verso giusto... vediamo....
COMPLICANZE
Come ogni cosa che riguarda la Medicina, le complicanze correlate all'impianto e al funzionamento di un pacemaker esistono e sono entro certi limiti inevitabili, nel senso che possono accadere anche quando le cose sono fatte a regola d'arte.
Senza pretesa alcuna di elencarle dettagliatamente ed esaustivamente, vediamo cosa può andare storto all'atto dell'impianto.
Iniziamo subito a dire che, al giorno d'oggi, la parte elettronica del dispositivo non presenta praticamente mai dei malfunzionamenti; i problemi possono invece essere di altro tipo, di solito legati alla procedura chirurgica in sè.
Infatti, per quanto l'impianto sia una procedura chirurgica lieve e rapida (un'oretta nei casi più lunghi, sempre a paziente sveglio), è pur sempre chirurgica. Le infezioni, pertanto, sono sempre in agguato, specie in chi è per natura predisposto, come i diabetici.
L'infezione di tutto il sistema comporta un bel disagio per il paziente, con necessità di espianto di tutto il dispositivo infetto (e generalmente reimpianto dall'altro lato), con una cicatrice in sede di vecchio impianto.
C'è poi la possibilità di gravi complicanze legate alla puntura della succlavia (emotorace da puntura accidentale dell'arteria) o pneumotorace da perforazione dell'apice polmonare, entrambe risolvibili ma con notevoli disagi, talora cicatrici, tempi e convalescenze lunghi.
Quindi possono verificarsi complicanze del tutto imprevedibili, come l'aumento della soglia di stimolazione o la frattura dell'elettrocatetere.
La prima è una sorta di reazione tissutale dell'endocardio (il rivestimento più interno del cuore, dove si appoggia la punta del catetere) che rende molto difficoltoso il passaggio della corrente in quel punto, per cui è necessario aumentare sempre più la corrente erogata ad ogni battito, causando la scarica precoce di tutto il sistema; la seconda è la vera e propria rottura dell'elettrocatetere, causata talvolta dall'usura meccanica di questo "filo", dovuta ai movimento del braccio; talaltra causata dallo schiacciamento tra prima costa e clavicola con i movimenti del braccio.
E' intuitivo che se l'elettrocatetere dovesse spezzarsi si avrà il completo blocco di tutto il sistema (l'apparecchio non sente il cuore, quindi continuerà ad erogare impulsi, che però non raggiungeranno mai il cuore). 
Naturalmente, un conto è gestire una qualsiasi complicanza in un paziente che NON è pacemaker-dipendente; altra cosa è gestire un malfunzionamento di un pacemaker impiantato in un paziente che invece è pacemaker-dipendente, la cui vita dipende dalla minuscola fonte di energia e dai circuiti elettronici del dispositivo.
Concluderei con una considerazione: le migliori aziende del mondo, in tale campo, nemmeno a dirlo, sono americane, e sono le più diffuse a livello mondiale.
Esistono poi ditte tedesche, francesi, italiane; per adesso non ho notizia di pazienti italiani con pacemaker cinesi.
Quello della marca può sembrare un dettaglio, è vero, ma tutt'altro che trascurabile.
Supponiamo foste dei vacanzieri giramondo: avere impiantato un pacemaker italiano ed essere finiti in pronto soccorso, che so, in Thailandia o negli Stati Uniti... potrebbe fare la differenza! 
Eh si! Infatti, poichè ogni pacemaker si controlla mediante un programmatore (in pratica un computer attraverso cui il pacemaker dialoga), sarà necessario obbligatoriamente il programmatore di QUELLA marca, e nessun altro.
Detto questo, foste portatori di pacemaker e doveste partire per un soggiorno all'estero, conviene informarsi (magari chiamando la ditta produttrice) sul grado di diffusione della marca del vostro apparecchio in quel dato paese estero.... non si sa mai!

3 commenti:

RINO OLIVOTTI ha detto...

tutto bene, dottorem ma io, mai avuto problemi di cuore sono svenuto (sincope) e rinvenuto in pochi secondi, e da seduto. Mi hanno, a Belluno
impiantato un pm monocamerale e me ntre ho sopportato benissimo il tutto, adesso mi sento addosso tutti i dolori del mondo compresa una depressione che non mi fa vivere bene. La domanda: Ma non bastava una cura farmacologica
considerando che il BAV diagnosticato è blocco di branca dx,blocco fascicolare ant.sn.e blocco atrioventricolare di grado variabile documentato fino a 2° M.I.?
Il pm è un Medtronic Adapta VDD. Non ho particolari problemi ma come Le dicevo vivo una depressione sconosciuta in quanto io, cardiopatico non ho mai saputo di esserlo. Se Lei è tanto gentile da dirmi qualcosa Le sarei immensamente grato, altrimenti Buon Anno lostesso. Ah dimenticavo ho 74 anni. Rino Olivotti - Auronzo di Cadore (bl) esiodo@gmail.com

stefano ha detto...

grazie per la lettura, rispondo privatamente

Anonimo ha detto...

Anche mio padre sta avendo un'esperienza analoga a quella del signore qui sopra. In più ha momentanee perdite di coscienza (è vigile e sveglio ma non ricorda fatti appena accaduti.. ha lo sguardo perso nel vuoto e non sembra a suo agio) poi torna tutto normale... A parte una depressione che dall'intervento (febbraio2013) si è portato addosso fino ad oggi.
mio padre è del '48 sarei felice se potesse contattarmi in privato alicegat@hotmail.com

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