Quasi certamente deve essere
stata questa la vostra esclamazione, dopo aver appreso i risultati dei primi
accertamenti sul caso del calciatore Cassano. Ora che il problema è risolto direi
che possiamo trattare l’argomento.
Il forame ovale pervio (che
chiameremo PFO, la sigla inglese è “patent foramen ovale”, anche se in realtà
la parola è di origine latina) è un buco nel cuore e, posta in questi termini,
la cosa potrebbe sembrare alquanto preoccupante. In realtà è normale che tale
“buco” ci sia, almeno fino ad un certo momento; dopo, se persiste, possono
essere guai, vediamo come.
Come ormai saprete essendo
lettori di queste pagine, il cuore di un adulto è fatto da due metà, non
comunicanti tra loro. Il sangue refluo da tutto il corpo finisce in atrio
destro, quindi in ventricolo destro che lo spinge nei polmoni. Dai polmoni
ritorna al cuore prima in atrio sinistro e quindi in ventricolo sinistro, che
lo spinge nuovamente in tutto il corpo attraverso l’aorta. Le due metà di cuore
non comunicano tra loro, pena conseguenze gravi. Ma esiste un momento in cui
invece devono comunicare, ed è quando i polmoni non sono ancora pronti. Infatti,
prima di nascere non si respira, i polmoni sono inattivi in quanto l’ossigeno
arriva dalla placenta, tramite la vena ombelicale. Questo buco, cioè questo
setto che non è ancora completamente formato e che pertanto non sigilla i due
atri, consente al sangue di “saltare” i polmoni, e rimane aperto anche perché
la pressione maggiore è dalla parte dell’atrio destro, cioè da dove arriva il
sangue. Alla nascita, con i primi respiri, i polmoni iniziano a funzionare e le
pressioni all’interno del cuore cambiano (il discorso è u po’ lungo, nella metà
sinistra aumentano), quindi questo buco (che in realtà è una fessura) si
sigilla perché, dal versante sinistro, l’aumento di pressione forza i due lembi
che lo formano ad appiattirsi, e il passaggio di sangue non avviene più.In alcuni adulti può succedere
che tutto questo non avviene in maniera completa, pertanto rimane un certo
passaggio di sangue: questo è il PFO, col quale si può convivere per decenni
senza sintomi, fino a quando un qualcosa fa aumentare la pressione dall’altra
parte, forzando nuovamente la fessura e consentendo il passaggio, oltre al
sangue, anche di coaguli più o meno piccoli che possono essersi formati nelle
vene periferiche da qualche parte. Cosa può essere questo “qualcosa” che forza
il passaggio? Per esempio aumento della pressione intratoracica come tosse o
starnuti violenti, o defecazione. Sta di fatto che se un coagulo (se ne possono
formare di piccoli, ma di solito finiscono senza disturbi nei polmoni) passa a
sinistra può causare guai grossi, bloccandosi in una qualsiasi arteria (ictus
ischemico o embolie periferiche).
A tal proposito non bisogna
pensare che una ischemia cerebrale (o ictus) si manifesti nel modo più grave e
più noto, cioè con una paralisi o paresi che insorge improvvisamente. Esistono
tanti altri sintomi apparentemente più subdoli, che possono condividere tale
causa comune, come per esempio una improvvisa sordità o cecità, improvvisa difficoltà
a deglutire o a parlare (disartria), nonché transitoria perdita di coscienza.
Un PFO non solo può non dare sintomi, ma può
anche non dare segni: non sempre c’è il soffio cardiaco, pertanto per scoprirlo
bisogna sospettarlo e poi sottoporsi ad esami mirati, a cominciare dall’ecocardiogramma
eventualmente anche transesofageo, nonché a risonanza magnetica.
Dopo accurata valutazione, da
parte di cardiologi particolarmente esperti nel trattare tale aspetto del
cuore, si può chiudere definitivamente tale anomalia applicando (senza
intervento chirurgico, solo da una vena femorale) una specie di piccolo duplice
“ombrellino” fatto di particolari leghe metalliche, che chiude la comunicazione
anomala, con rischi di fallimento della procedura di applicazione (in mani
esperte) ormai molto bassi.
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