lunedì 19 dicembre 2011

Menopausa e Terapia Ormonale Danneggiano il Cuore?


La terapia ormonale sostitutiva è argomento di ampio interesse, in quanto assunta da un discreto numero di donne in post menopausa. Vede la sua indicazione principale nel controllo dei sintomi propri del climaterio, ma in passato si è ritenuto potesse agire favorevolmente su numerosi aspetti patologici propri della donna in quel periodo, con speranze in merito a riduzione dell’incidenza di tumori, riduzione dell’osteoporosi e prevenzione malattie cardiache. Cercheremo di fare il punto in merito a quest’ultimo aspetto, sempre preponderante in tema di salute femminile, ma andiamo con ordine.
Come sapete, finchè la donna è nel periodo fertile della sua vita ha una incidenza più ridotta, rispetto al maschio, di ammalarsi di cuore (inteso come cardiopatia ischemica, per la cui definizione e trattazione vi rimando al mio libro). Questa sorta di protezione naturale deriva dal diverso assetto ormonale nei due sessi: il maschio ha un solo ormone che lo caratterizza: il testosterone (ormone androgeno), che è sempre stabile e rimane per tutta la vita (ovviamente non è esattamente così, ma supponiamo che lo sia e prendiamolo per buono), mentre la femmina è molto più complessa. Per semplicità diciamo che gli ormoni tipici femminili sono due: gli estrogeni (responsabili dell’essere “femmina”) e i progestinici (che preparano e mantengono una gravidanza). Essi salgono e scendono con ciclicità mensile per tutta la vita fertile della donna, creando tantissimi effetti altrettanto ciclici, tra cui la protezione dalle malattie cardiovascolari. Con la menopausa tutto ciò si esaurisce, e il rischio di contrarre una malattia cardiaca ischemica si allinea a quello maschile.
Pertanto, con queste premesse, la ragione vorrebbe che somministrando ad una donna in menopausa gli ormoni che la Natura le ha tolto, essa possa stare meglio (non avere tutti i sintomi della menopausa), prolungare il suo periodo di normale benessere e non ammalarsi di determinate malattie. Peccato che la Natura non va come noi vorremmo che andasse, e che la menopausa non è una malattia! Detto ciò, analizziamo i dati scientifici e cerchiamo di trarne delle conclusioni.
Quando le conoscenze in merito agli effetti della terapia ormonale sostitutiva non erano complete (circa 15 anni addietro), dati preliminari avevano orientato i medici verso un chiaro effetto protettivo nei confronti della cardiopatia ischemica, addirittura alcuni studi parlavano di riduzione del rischio fino al 50%. Col progredire delle conoscenze, e soprattutto man mano che si completavano studi prospettici, emersero dati più accurati e ahimè, del tutto opposti. Il più importante è forse il WHI (Women’s Healt Initiative), studio di prevenzione primaria interamente dedicato alle pazienti femmine. In tale studio sono state arruolate circa 16000 pazienti di età media 63 anni, sostanzialmente sane (pochissime quelle con cardiopatia documentata), suddivise in due gruppi: ad uno il placebo, all’altro una associazione di estroprotestinico. I due gruppi sono stati seguiti per circa 5 anni, quando lo studio è stato interrotto precocemente in quanto si è visto che i rischi per la salute, nel gruppo trattato col farmaco, superavano i benefici. 
In particolare, analizzando i dati che man mano affluivano dai centri ai coordinatori dello studio, ci si è resi conto che il rischio di contrarre una malattia ischemica cardiaca era più alto del 24% nel gruppo trattato con l’estroprogestinico che nell’altro. In dettaglio, volendo vedere i numeri assoluti, i due gruppi erano di 8500 pazienti trattate contro 8100 pazienti col placebo: i casi assoluti di infarto miocardico non fatale sono stati 151 nel primo gruppo contro 114 nel secondo.
Questa e altre informazioni, scaturite dalle complesse analisi statistiche dello studio, hanno motivato la considerazione che la terapia ormonale sostitutiva (con estroprogestinici in associazione), in donne in post menopausa, non conferisce alcuna cardioprotezione; anzi, può leggermente incrementare il rischio di infarto miocardico non fatale. A ciò bisogna aggiungere l’aumentato rischio di tromboembolismo venoso, ictus e tumore della mammella, che comunque esula dallo scopo di questo scritto.
In conclusione l’impiego di tale terapia, la cui gestione è affidata in genere al ginecologo o all’internista, ha dei campi di applicazione limitati, di fatto solo per il trattamento a breve termine dei sintomi tipici del periodo post menopausa.

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